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Inferno a Kiev, il grido di dolore degli ucraini ischitani

   Lesya e gli altri 861 immigrati seguono le violenze in tv con trepidazione: «Non si ammazza il popolo perché chiede un nuovo presidente»

Pasquale Raicaldo | Da qualche giorno, gli occhi chiarissimi di Lesya e degli altri 861 ucraini regolari residenti sull’isola d’Ischia secondo l’ultimo censimento Acli sono particolarmente tristi. Perché Kiev, nel cuore dell’Ucraina sospesa tra nazionalisti ed europeisti, vive ore drammatiche. Quasi cento persone sono morte oggi negli scontri tra la polizia e i manifestanti a Kiev, almeno 550 i feriti secondo le stime provvisorie: dopo una brevissima tregua, è riscoppiata la «guerra» innescata già lo scorso novembre, quando migliaia di persone cominciarono a manifestare contro la decisione del presidente Janukovič di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea al summit di Vilnius del 28 e 29 novembre. La firma del patto avrebbe significato un allontanamento dall’influenza economica russa e un avvicinamento implicito a Europa e Stati Uniti.

E mentre l’Occidente guarda preoccupato a quanto sta accadendo a Kiev, con i ministri degli esteri di Francia, Germania e Polonia che hanno aperto una trattativa con il governo per trovare una soluzione al conflitto (e si discute di possibili sanzioni contro i responsabili delle violenze), su quest’isola così decentrata e periferica – che ha tuttavia assistito a continui flussi di immigrati dall’Ucraina – sono in molti a trattenere a stento lacrime e preoccupazione.
Lesya, ad esempio, vive in Italia da 12 anni, dove ha sposato un ischitano, da cui ha avuto un figlio. Lei è di Leopoli, roccaforte nazionalista, e la sua bacheca Facebook è metaforicamente sporca di sangue.

«Non ho parole, ho solo il dolore di non poter fare nulla» scrive, proprio mentre il mondo apprende dell’agghiacciante storia di un’infermiera ucraina ventunenne, colpita alla gola, che ha avuto il tempo di scrivere su Twitter “Muoio”.

«Non si ammazza il popolo, perché chiede elezioni per scegliere un nuovo presidente», scrive Lesya, apprezzata e conosciuta, è una delle tante ucraine che hanno costruito sull’isola percorsi virtuosi, realizzandosi. «L’Ucraina vuole vivere senza dittatura» spiega agli ischitani che, su Facebook, le chiedono lumi. «La situazione è gravissima – ci racconta invece una giovane ucraina, che vive sull’isola con la madre – e stiamo seguendo la tv ucraina quotidianamente, con trepidazione».

Dopo una breve tregua, le violenze erano riprese il 18 febbraio: il 16 i manifestanti avevano sgomberato il municipio di Kiev, che occupavano da mesi, dopo che le autorità avevano concesso l’amnistia a 243 detenuti, arrestati durante le proteste degli ultimi mesi. Ma il 18 febbraio più di mille manifestanti erano tornati in strada, rafforzando le barricate erette a gennaio nel centro di Kiev. E’ stato l’inizio dell’Inferno.

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