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Dina, ucraina a Pavia «Ho paura per mio figlio»

    Dina Petelko ha fondato l’associazione delle donne ucraine a Pavia. Ed è una patriota. Non c’è bisogno che lo dica. Glielo si legge negli occhi chiari che si inumidiscono quando pronuncia il..

Dina Petelko ha fondato l’associazione delle donne ucraine a Pavia. Ed è una patriota. Non c’è bisogno che lo dica. Glielo si legge negli occhi chiari che si inumidiscono quando pronuncia il nome del suo Paese. E quando racconta che suo figlio Sergiei, 28 anni, laureato in Scienze Politiche a Kiev ma badante in regola a Pavia, è tornato a casa, «tra i rivoluzionari». «E’ voluto partire per proteggere la sua terra, noi che siamo qui sentiamo il richiamo delle nostre origini – dice – Siamo partiti ma non abbiamo mai smesso di coltivare un sogno: le riforme, la democrazia, un nuovo sistema pulito che ci porti in Europa». Non a caso il nome dell’associazione è Djerelo, che vuol dire ruscello. «Lo usiamo quando vogliamo parlare di una cosa pura» dice Dina Petelko, 48 anni, da 12 in Italia. Una vita in giro per l’Europa, seguendo le missioni dell’ex marito ufficiale dell’esercito.

«Purtroppo anche in Italia non è ben chiaro quello che accade da noi – dice – Noi vogliamo far sapere che Putin non vi racconta la verità».

Per questo domani, dalle 15 alle 17, le venti volontarie dell’associazione aspettano i pavesi in viale Matteotti per fare informazione. Li aspettano lungo l’allea che è tradizionalmente il luogo di ritrovo delle badanti a Pavia. «Distribuiremo un volantino in cui spieghiamo in dieci punti come stanno realmente le cose tra Russia e Ucraina, spiegheremo a chi è interessato la triste storia della Crimea e dei suoi abitanti» dice. L’associazione, che finora si è occupata di raccogliere fondi per sostenere le badanti che restano senza lavoro e vestiti da spedire a casa, ora aiuta anche «le famiglie degli eroi caduti per la patria».

«Si contano già cento morti, anche tra gli amici di mio figlio – spiega con la voce rotta dall’emozione – La situazione è gravissima. Da tre mesi è in corso la rivoluzione, la gente sta tutti i giorni, durante questo inverno, sulla piazza. Ma hanno sparato su chi manifestava pacificamente. E il presidente non ha mai parlato. Ha preferito scappare in Russia».

Dina si tiene in contatto con il figlio grazie alla Rete. «Ma la maggior parte delle donne ucraine che vivono qui non hanno un computer, possono fare poche telefonate, vivono nella paura per le famiglie a casa». Ognuna di loro in questi anni ha lavorato duro per mantenere figli, marito, genitori a casa ma anche per costruire il sogno di un Paese libero. «Là non c’è lavoro, i nostri giovani studiano, si laureano ma non hanno futuro – dice – Ora vogliamo che questo prezzo di sangue pagato da chi lotta per la vera democrazia non sia vano . La nostra gente si sta sacrificando. I documenti erano già pronti, poi è saltato tutto. Ma noi vogliamo entrare in Europa in prima possibile». (m.g.p.)

http://laprovinciapavese.gelocal.it/

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